Cambiano i suonatori ma la musica è la stessa: sanità pubblica a pezzi, rischio privatizzazione


Dal IV rapporto della Fondazione Gimbe sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale il duro atto di accusa: “Negli ultimi 10 anni nessun governo ha messo la sanità pubblica al centro, dal 2010 al 2019 sottratti al SSN ben 37 miliardi di euro”. E non si vede la luce in fondo al tunnel…

Quasi 30 miliardi in meno in 10 anni, cure essenziali non garantite a tutti, sprechi e la progressiva crescita dei fondi integrativi per la ammortizzare la spesa privata per la salute. Purtroppo non è certo una novità che il nostro Servizio sanitario nazionale cada a pezzi. E che, al di là dei soliti proclami da campagna elettorale, tutti i governi che si sono succeduti in questo arco di tempo (compreso quello attualmente in carica), non hanno fatto e non stanno facendo nulla almeno per provare a tamponare la situazione.

Ora, però, a lanciare l’allarme è la Fondazione Gimbe (una fondazione di diritto privato costituita dall’associazione Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle evidenze) che martedì 11 giugno, presso la Sala Capitolare del Senato, ha presentato il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). E non ha certo usato giri di parole il presidente Nino Cartabellotta nella sua introduzione per fotografare la situazione esistente.

Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – ha affermato – negli ultimi dieci anni nessun governo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti”.

L’Italia – prosegue Cartabellotta – siede nel G7 tra le potenze economiche del mondo, ma la politica ha fatto precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale, considerando la sanità stessa come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe solo il 6,6% del PIL e l’intera filiera della salute ne produce circa l’11%. Peraltro la scarsa attitudine ad investire in sanità va a braccetto con la facilità a disinvestire, visto che dal 2010 tutti i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie, fiduciosi che il SSN fornirà sempre risultati eccellenti e consapevoli che qualcun altro raccoglierà i cocci”.

Il rapporto della Fondazione Gimbe arriva, per altro, in un periodo in cui già la preoccupazione per la sanità è piuttosto elevata. Nel fine settimana scorso erano state le Regioni a lanciare l’allarme, visto che dalla bozza del Patto per la salute 2019 predisposta dal governo emerge un taglio di ben 2 miliardi di euro al fondo sanitario nazionale. Pochi giorni prima l’analisi del contratto di governo ad un anno dalla nascita dell’esecutivo, effettuata da “Pagella Politica”, aveva drammaticamente evidenziato come la sanità è fino ad ora un tema completamente ignorato dal governo stesso, al punto che dopo 12 mesi non è stato fatto nulla in nessuno dei 12 punti dedicati alla sanità ed inseriti nel contratto stesso.

Per altro anche la Fondazione Gimbe ha realizzato un proprio report per valutare in che misura le proposte per la sanità contenute nel contratto di governo siano compatibili e utili quanto meno per provare a migliorare la situazione del SSN. Ed il risultato che ne è scaturito è a dir poco desolante, visto che quelle proposte in qualche modo potrebbero incidere (in linea molto teorica) solo su 2 dei 12 punti che la Fondazione reputa imprescindibili per salvare la sanità pubblica.

Tra l’altro il condizionale è d’obbligo perché si sottolinea che “tale valutazione non ha tenuto in considerazione la sostenibilità economica, in quanto nelle sezioni esaminate il “Contratto per il Governo del Cambiamento” non definisce in alcun caso l’entità delle risorse necessarie per finanziare le proposte”. In altre parole anche le proposte teoricamente interessanti al momento sono “aria fritta”…

Tornando al quarto rapporto Gimbe, vengono evidenziate e analizzate le 4 principali cause che stanno determinando la crisi di sostenibilità del SSN: il definanziamento pubblico, la sostenibilità ed esigibilità dei nuovi Lea, sprechi e inefficienze e l’espansione del cosiddetto “secondo pilastro” (fondi sanitari integrativi). Per quanto concerne il definanziamento il rapporto sottolinea come nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al SSN circa 37 miliardi di euro e l’incremento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale è stato di 8,8 miliardi, con una media annua dello 0,9% insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+ 1,07%).

Quel che è peggio è che, come sottolinea il presidente Cartabellotta, “non si vede nessuna luce in fondo al tunnel visto che il DEF 2019 riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022 e le buone intenzioni della Legge di Bilancio 2019 (+ 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021) sono subordinate ad ardite previsioni di crescita e alla stipula, tutta in salita, del Patto per la Salute”. Il Rapporto analizza, poi, le criticità per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni e quelle che condizionano l’omogenea erogazione ed esigibilità dei nuovi LEA .

È ormai inderogabile – sottolinea il presidente – un consistente “sfoltimento” delle prestazioni basato su evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia per mettere fine ad un paradosso inaccettabile: in Italia il finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa convive con il “paniere LEA” più ampio, garantito però solo sulla carta”. Quale prova tangibile di questa anomalia, la mancata pubblicazione del “decreto tariffe” in ostaggio del MEF per mancata copertura finanziaria non permette l’esigibilità dei nuovi LEA su tutto il territorio nazionale, trasformando un grande traguardo politico in una cocente delusione collettiva.

Per quanto concerne sprechi e inefficienze il Rapporto aggiorna le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica (aggiornato al 2017):  21,59 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (6,48 mld), frodi e abusi (4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate ( 3,24 mld), inefficienze amministrative (2,37 mld) e inadeguato coordinamento dell’assistenza (2,59 mld).

Infine per quanto concerne il cosiddetto “secondo pilastro”, ruolo e potenzialità dei fondi sanitari integrativi sono compromessi da una normativa frammentata e incompleta, che da un lato ha permesso loro di diventare prevalentemente sostitutivi, con la garanzia di cospicue agevolazioni fiscali, dall’altro consente all’intermediazione assicurativa di gestire i fondi invadendo il mercato della salute con “pacchetti” di prestazioni superflue che alimentano il consumismo sanitario e possono danneggiare la salute.

Continuare a dirottare risorse pubbliche sui fondi sanitari tramite le agevolazioni fiscali e non riuscire a rinnovare contratti e convenzioni e, più in generale ad attuare le inderogabili politiche sul personale – spiega il Cartabellotta –  è un chiaro segnale di privatizzazione del SSN che configura un grave atto di omissione politica”. Con simili presupposti, la situazione rischia davvero di peggiorare e, nei prossimi anni, di precipitare.

La sanità pubblica – sottolinea in conclusione il Rapporto – trascurata dalla politica cade a pezzi e nel silenzio dei cittadini si avvia verso la privatizzazione

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