Il dolore e la vergogna: 20 anni dopo il Cermis ricorda la strage provocata dai marines


Il 3 febbraio 1998 le manovre spericolate di un aereo dei Marines, in palese violazione delle norme del regolamento, provocarono l’incidente sulla funivia del Cermis in cui persero la vita 20 persone. Ma i responsabili di quella strage sono stati tutti assolti negli Stati Uniti…

Sono passati 20 anni ma il ricordo di quel tragico 3 febbraio è ancora vivo nei cuori degli abitanti delle Alpi del Cermis. Dopo tanti anni, però, l’eco della vergogna di tutto quanto accadde dopo quel drammatico giorno è quasi definitivamente scomparso. Per questo, nel ventennale di quella strage, è giusto ricordare cosa accadde e ancor più l’ignobile comportamento degli Stati Uniti, purtroppo non una novità del genere.

Erano le 15:21 del 3 febbraio nel 1998 quando un aereo dei Marines (un Grumman EA-6B Prowler) decollato poco meno di un’ora prima dalla base area di Aviano, tranciò le funi del tronco inferiore della funivia del Cermis, provocando la caduta della cabina della funivia stessa che aveva a bordo 19 passeggeri e il manovratore. Un volo di 150 metri e poi lo schianto al suolo, fatale per tutti i 20 occupanti. Nessuno scampo per i 3 italiani , i 7 tedeschi, i 5 belgi, i 2 polacchi, i 2 austriaci e l’olandese presenti nella cabina. L’aereo, guidato dal capitano Richard Ashby con Joseph Schweitzer navigatore e nei sedili dietro William Rancy (l’addetto ai sistemi di guerra elettronica) e Chandler Seagraves (addetto ai sistemi di guerra elettronica ), doveva svolgere un volo di addestramento a bassa quota.

Le autorità americane, immediatamente allertate, cercarono subito di depistare le indagini e di nascondere quanto accaduto (d’altra parte sono maestri in questo…), cercando ignobilmente di far passare la strage per un incidente analogo a quello accaduto, sulla stessa funivia, il 9 marzo del 1976. Quando, per la rottura del cavo portante dell’impianto, persero la vita 42 persone, tra cui 15 bambini. Nonostante la presenza di diversi testimoni, che immediatamente parlarono delle responsabilità di un aereo dei Marines, inizialmente la tesi della rottura del cavo trovò accoglimento anche in diversi organi di informazione.

Fortunatamente diversi quotidiani già il giorno successivo, proprio sulla base delle testimonianze raccolte, parlarono senza alcun esitazione di incidente provocato da manovre spericolate dell’aereo. A togliere ogni ulteriore dubbio ci pensò pochi giorni dopo la magistratura italiana che, fu rapida a porre sotto sequestro l’aereo (che gli americani avrebbero voluto distruggere al più presto, così come avevano fatto con il video girato durante il volo), trovando un pezzo di cavo della funivia rimasto incastrato nel veicolo.

Naufragato miseramente il tentativo di camuffare quanto accaduto, emerse con chiarezza che l’incidente non era stato una casualità ma la conseguenza di quella che purtroppo da tempo era una prassi. Il capitano Ashby e il navigatore Schweitzer, in palese violazione alle norme del regolamento, avevano volato ad alte velocità a bassa quota. Da mesi gli abitanti della valle denunciavano le evoluzioni spericolate degli aerei americani, tanto che il giorno successivo alla tragedia il Corriere della Sera pubblicò le loro testimonianze con un titolo sin troppo emblematico: “Da anni vivevamo con l’incubo sulla testa”.

Successivamente si scoprì anche che i 4 avevano portato a bordo una telecamere per riprendere le loro peripezie. Nei giorni seguenti, visto anche il clamore che la vicenda aveva suscitato non solo in Italia, arrivarono le scuse del presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton che assicurò che “gli Stati Uniti sono determinati ad accertare le responsabilità in un processo giusto e aperto”. Quasi superfluo aggiungere che poi non sarà assolutamente così.

Da subito gli americani si opposero con decisione alla richiesta dei pm italiani di processare i 4 marines nel nostro paese, appellandosi alla Convenzione di Londra del 1951 sullo statuto dei militari Nato. Al giudice delle indagini preliminari non restò che adeguarsi a quella richiesta, sulla base dell’articolo VII della Convenzione. Come era sin troppo facile prevedere, il processo (solo a carico del pilota e del navigatore) che si tenne l’anno successivo nella Carolina del Nord, a Camp Lejeune, fu poco più di una farsa, tra prove insabbiate e distrutte e l’unico reale obiettivo quello di non scalfire in alcun modo l’onore del Corpo dei Marines. Alla fine, nonostante l’evidenza che l’incidente era stato provocato da una manovra volontaria azzardata, nel marzo del 1999 i due marines furono assolti.

Qualche mese dopo i due vennero giudicati dalla corte marziale con l’accusa di intralcio alla giustizia per la distruzione del nastro che documentava la manovra spericolata. Quasi superfluo sottolineare che, quindi, le autorità americane sapevano chiaramente cosa era accaduto realmente… La corte marziale alla fine ha riconosciuto entrambi colpevoli, degradandoli e rimuovendoli dal servizio. Il pilota venne anche condannato a sei mesi di detenzione, scontandone solo 4 per buona condotta.

Come se non bastasse anche per quanto riguarda i risarcimenti gli Stati Uniti hanno dimostrato tutto il loro sprezzo. Un anno dopo la strage, nel febbraio 1999 il Senato americano fissò in 40 milioni di dollari il risarcimento nei confronti dei familiari delle persone decedute. Poi, però, sono iniziate le solite ignobili baruffe e, alla fine gli Stati Uniti hanno preteso e ottenuto l’applicazione di quanto previsto dagli accordi bilaterali, cioè il pagamento solo del 75% del rimborso (il restante 25% a carico del nostro paese). Molti anni dopo, nel gennaio 2012, National Geographic mandò in onda una lunga inchiesta sulla vicenda, mostrando anche un video con la confessione inedita del navigatore Schweitzer.

Ridevano e fotografavano le montagne, il paesaggio splendido del Lago di Garda – racconta il navigatore – violavamo le regole, volando troppo basso e troppo veloce. Giravamo un video ricordo delle Alpi, un souvenir per il pilota all’ultima missione prima di tornare negli Stati Uniti. Ho bruciato la cassetta perché non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime

Ci sarebbe poco da aggiungere, se non che ogni tanto oltreoceano, quando si chiedono perché anche in paesi considerati “amici” c’è un forte sentimento di avversione nei loro confronti, dovrebbe fare un esame di coscienza. E, siamo certi, la risposta la troverebbero immediatamente…

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