Omicidio di Fermo: giustizia è fatta, forse…


Amedeo Mancini ha patteggiato la pena di 4 anni per omicidio preterintenzionale, impegnandosi a pagare le spese per la traslazione della salma in Nigeria. La compagna di Emmanule rinuncia alla costituzione di parte civile  e a qualsiasi pretesa risarcitoria ma continua ad essere oggetto di un’indegna campagna mediatica

Alla fine è stata fatta giustizia. O forse sarebbe meglio dire che la vicenda si è definitivamente chiusa dal punto di vista giudiziario. Se però c’è ancora qualcuno che intende il termine “giustizia” in maniera letterale e gli attribuisce un’implicazione morale di certo sarà rimasto deluso.

A Fermo, per la vicenda della morte del migrante nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, più che un procedimento in un’ aula giudiziaria è andato in scena una trattativa che ricorda quelle che generalmente si svolgono nel mercato settimanale del paese. Alla fine Amedeo Mancini, l’ultrà che ha ucciso Emmanuel, ha patteggiato la pena di 4 anni davanti al gip di Fermo Maria Grazia Leopardi. Che, di fatto, ha ratificato l’accordo raggiunto tra la difesa e la procura. Mancini è stato condannato per omicidio preterintenzionale (si consuma quando chiunque con atti diretti unicamente a percuotere o a provocare lesioni personali nei confronti di un altro soggetto ne cagioni, senza volerlo, la morte), con l’aggravante dei motivi razziali e l’attenuante della provocazione.

Accordo anche tra l’ultrà fermano e la moglie della vittima, con Mancini che si è impegnato a pagare le spese per la traslazione della salma in Nigeria e Chenyere  che ha rinunciato alla costituzione di parte civile, con la contestuale rinuncia a qualsiasi pretesa risarcitoria. Per carità, le parti in causa hanno utilizzato strumenti previsti dalla legge, con l’obiettivo comune di chiudere al più presto una vicenda che in questi mesi ha provocato discussioni e polemiche a non finire. Però, proprio per l’eco che ha avuto l’omicidio consumato il pomeriggio del 5 luglio scorso e le ripercussioni che ha provocato, si auspicava che il procedimento giudiziario potesse contribuire a fare chiarezza, a ricostruire (anche grazie a tutti gli accertamenti effettuati) con esattezza la dinamica di quel drammatico fatto.

Che invece continuerà a provocare polemiche, discussioni e ricostruzioni più o meno fantasiose, come avviene per qualsiasi cosa nel nostro paese, tra le due opposte fazioni. Da una parte quelli che “non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono extracomunitari” che difendono per partito preso e contro ogni evidenza Mancini, arrivando a sostenere tesi che persino la difesa dell’ultrà fermano ha ammesso essere improponibili. Dall’altra quelli che intorno all’omicidio del povero Emmanuel vogliono dipingere un contorno ambientale a tinte fosche e a dir poco esagerato (come se a Fermo e nel nostro territorio gli episodi di razzismo fossero all’ordine del giorno) e a loro volta sono pronti a distorcere e amplificare qualsiasi verità venga fuori dall’inchiesta.

In questa barbara contrapposizione tra le parti si è poi inserita, come terzo incomodo, parte della stampa nazionale che, per partito preso, deve necessariamente “sparare a zero” sempre e comunque contro il governo e i rappresentanti istituzionali . Che a luglio parteciparono ai funerali del povero Emmanuel (c’erano il presidente della Camera Laura Boldrini, l’allora ministro per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi ed altri), manifestando la loro solidarietà alla sua compagna. Di conseguenza, nel folle e paranoico disegno di una parte della stampa, screditando Emmanuel o comunque facendo passare una ricostruzione dell’accaduto dai contorni diversi, si poteva automaticamente screditare e attaccare violentemente i componenti del governo.

In questo caso non c’è alcun sentimento di razzismo (palese o strisciante) a muovere quella parte dell’informazione, se per caso i rappresentanti del governo avessero preso le parti o avessero per qualche motivo manifestato solidarietà nei confronti di Mancini, state sicuri che l’ultrà fermano avrebbe subito lo stesso identico trattamento, per gli stessi biechi secondi fini. Emblematico, a tal proposito, lo scoop del novembre scorso, poi ovviamente rivelatosi assolutamente insussistente, sulla presunta partecipazione al funerale di alcuni connazionali della vittima appartenenti ad un’associazione mafiosa (Black Axed). Cosa che, ovviamente, avrebbe significato che lo stesso Emmanuel faceva parte di quell’associazione mafiosa, con tutte le conseguenze del caso.

Naturalmente la notizia ha, come sempre, un fondo di verità, perché c’è un’informativa di un funzionario di polizia che evidenzia la presenza, a quel funerale, di alcuni suoi connazionali vestiti di nero con il foulard al collo, abbigliamento che, secondo quel funzionario, sarebbe tipico degli appartenenti a Black Axe. Però sarebbe bastato poco per approfondire e verificare quello che poi è emerso con chiarezza, cioè che quella di indossare un fazzoletto rosso in queste situazioni di lutto è un’usanza tipica della Nigeria. Tra l’altro, vista la presenza al funerale di ministri del paese africano e dell’alto rappresentante consolare dell’ambasciata nigeriana, Questura e Prefettura avevano controllato e schedato tutti i partecipanti nigeriani alle esequie. E dagli accertamenti non era emerso assolutamente nulla, d’altra parte sarebbe stato a dir poco strano e singolare vedere rappresentanti di un gruppo mafioso a fianco di ministri e autorità nigeriane.

Eppure qualche giornale non aveva perso l’occasione per strumentalizzare questa vicenda non solo per provare ad infangare il povero Emmanuel ma anche e soprattutto per fare la solita campagna demagogica contro esponenti del governo. “Mafiosi nigeriani ai funerali con la Boschi” era allora l’emblematico titolo del “Fatto Quotidiano”. Secondo cui, non solo non c’erano dubbi che quegli uomini con i foulard rossi fossero mafiosi ma, addirittura, per come era confezionato il titolo, sembrava quasi che ad accompagnarli al funerale fosse stata il ministro Boschi. E per non lasciare ulteriormente dubbi nel sottotitolo sosteneva senza incertezze che “uomini di Black Axe avevano partecipato alle esequie di Emmanuel.

E’ chiaro ed evidente che in un simile contesto è davvero difficile non perdere di vista i fatti, almeno per come emergono dagli atti giudiziari. E certamente questo tipo di conclusione non aiuta perché inevitabilmente ha dato il via alle ricostruzioni più fantasiose e surreali di quanto è avvenuto. Soprattutto da parte di chi per mesi, basandosi su ricostruzioni ipotetiche di parte, basate su altrettanto ipotetici testimoni (la cui attendibilità è stata valutata dagli inquirenti), si è ostinato a presentare una realtà in totale contrasto con quanto emergeva dagli atti ufficiali. Così si è arrivati al paradosso che qualche sito di estrema destra, dopo la notizia della decisione del tribunale di Fermo, ha addirittura avuto il coraggio di scrivere che la compagna di Emmanuel ha patteggiato, come se l’imputata fosse lei e non Mancini.

La tesi, a dir poco surreale, è che avrebbe patteggiato con Mancini per evitare che l’ultrà la denunciasse per falsa testimonianza, in base al fatto che la sua testimonianza sarebbe stata smentita da quelle dei testimoni. Una follia, visto che Chinyere dall’inizio alla fine del procedimento è sempre stata parte offesa e, ovviamente, mai imputata. Quindi, anche volendo, non avrebbe potuto patteggiare un bel nulla. Tra l’altro l’eventuale falsa testimonianza, qualora fosse ritenuta tale dalla Procura, dovrebbe essere perseguita d’ufficio, con il Mancini che al massimo avrebbe potuto querelare la donna. Che evidentemente per la Procura non ha mentito, visto che al momento non risulta aperta alcuna inchiesta nei suoi confronti, tanto meno per falsa testimonianza.

Ancora una volta si cerca di stravolgere la realtà, quella processuale dice che Chinyere ha rinunciato a costituirsi parte civile e, quindi, ha rinunciato a qualsiasi pretesa risarcitoria, a fronte dell’impegno di Mancini a contribuire alle spese per la traslazione della salma di Emmanuel in Nigeria. Ed è singolare il fatto che, quelli che ora vaneggiano su un improbabile patteggiamento di Chinyere, sono gli stessi che, un mese fa, la attaccavano sostenendo che, con l’eventuale costituzione come parte civile, stava cercando di sfruttare il dramma per fare un po’ di soldi.

Al di là di tutto la verità processuale, per quanto discutibile possano essere i modi in cui ci si è arrivati, mette dei punti fermi su tutta la vicenda. Il primo è che Mancini non voleva uccidere (omicidio preterintenzionale), il secondo è che non si è trattata di legittima difesa (ma d’altra parte i legali dell’imputato non hanno mai neppure accennato a questa ipotesi). Poi viene confermato che si è trattato di un omicidio a sfondo razziale (l’unica aggravante rimasta è proprio quella razziale), mentre viene attribuita al Mancini stesso l’attenuante della provocazione (per il fatto che Emmanuel ha reagito agli insulti a sfondo razziale rivolti dall’ultrà a Chinyere, “african scimmia”, invece di far finta di nulla e di andarsene).

Oltre ciò qualche altra indicazione ci arriva dagli atti e dalle analisi di cui si conoscono i risultati. Come quelle compiute dal Ris di Roma sul famoso paletto del segnale stradale che, secondo quanto dichiarato da Mancini e (almeno in base ai racconti di qualche giornale) confermato da qualche testimone, Emmanuel avrebbe prima impugnato, per poi scagliarglielo contro di lui. Ebbene i risultati delle analisi del Ris hanno evidenziato che non ci sono tracce del Dna di Emmanuel sul paletto, mentre ce ne sono di Mancini. Il che confermerebbe quanto dichiarato da Chinyere, cioè che ad impugnare il paletto è stato il Mancini stesso (di sicuro non lo ha fatto Emmanuel, visto che non c’è il suo Dna).

Un’altra importante indicazione è quella che ha fornito l’autopsia sulla vittima dalla quale risultano contusioni in varie parti del corpo che farebbero pensare a più colpi ricevuti da Emmanuel (anche in questo caso come dichiarato da Chinyere). Nel complesso, quindi, il quadro giudiziario che emerge dagli atti e dal procedimento è assolutamente chiaro, anche se siamo certi che non servirà a placare chi in questi mesi, sulla base di informazioni assolutamente aleatorie, ha cercato di costruire addosso al povero Emmanuel e alla sua compagna una parte diversa da quella delle vittime.

Ristabiliti con certezza i ruoli di tutti i protagonisti di questa triste vicenda, restano le perplessità sul valore che la legge attribuisce alla vita umana. Bando alle ipocrisie, a parti invertite (cioè se un extracomunitario fosse stato condannato ad appena 4 anni per omicidio preterintenzionale) avremmo assistito alla solita campagna di una certa parte di stampa e tv per denunciare la legge accondiscendente con questi delinquenti. E’ da sempre così, di esempi sul differente clamore mediatico procurato da un crimine commesso da un extracomunitario rispetto ad un italiano è piena la storia recente. Per quanto ci riguarda riteniamo che la vita umana sia un bene troppo prezioso per poter accettare una pena così mite nei confronti di chi, anche solo in maniera “preterintenzionale”, commette un omicidio. Che si tratti di cittadino italiano o di un extracomunitario.

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